Camilla Poesio: Il confino fascista. L’arma silenziosa del regime, Roma-Bari, Laterza, 2011, ISBN 9788842097259, 218 pp.
L'uso del confino segnò un passaggio importante nell'instaurazione della dittatura fascista e nella progressiva distruzione dello Stato di diritto: con il suo utilizzo vennero meno i diritti degli oppositori politici e fu degradata la loro dignità personale e quella dei loro familiari. Divenuto strumento centrale, sebbene non unico, della repressione politica, il confino risultò un provvedimento molto duro a causa delle difficili condizioni di vita cui furono sottoposti i confinati. Questi si trovavano quasi improvvisamente a essere soggetti senza garanzie poiché, secondo l'ottica fascista, si erano dimostrati cittadini non degni di quello Stato la cui sicurezza e il cui ordine erano stati da loro stessi messi in pericolo e minacciati. Per la sua procedura, più veloce e agile rispetto a quella di un processo penale ordinario, questa misura fu facilmente applicabile: per essere assegnati al confino era sufficiente un mero sospetto di pericolosità. Fondandosi sul giudizio e sull'arbitrarietà, pertanto, il confino poteva colpire tutti i potenziali oppositori, reali o presunti che fossero.
Pubblicazione tratta dalla tesi di dottorato La repressione politica nell'Italia fascista e nella Germania nazionalsocialista. Dallo scardinamento dello Stato di diritto alla nascita di sistemi concentrazionari, discussa all'Università Ca' Foscari Venezia, in cotutela con la Freie Universitaet Berlin, nel 2009.
Pubblicazione tratta dalla tesi di dottorato La repressione politica nell'Italia fascista e nella Germania nazionalsocialista. Dallo scardinamento dello Stato di diritto alla nascita di sistemi concentrazionari, discussa all'Università Ca' Foscari Venezia, in cotutela con la Freie Universitaet Berlin, nel 2009.